21 dicembre 2016

Umberto Caligaris: anima e corpo

di: Andrea Ridolfi Testori

____________________________________________________________

Umberto Caligaris è uno dei più importanti difensori della storia del calcio italiano. Non a caso scrivo è, e non è stato. Il suo impatto è stato fulmineo e duraturo, la sua impronta indelebile. Il suo modo di giocare, caratterizzato da potenza, colpo d'occhio e capacità di sfidare l'avversario faccia a faccia, senza paura, influenzerà tanti difensori degli anni seguenti, che da lui trarranno ispirazione. Tra le sue virtù lo spirito indomito, l'amore sincero e purissimo per uno sport, il calcio, che nella sua forma più verace riesce a tirar fuori sentimenti autentici, franchi, di passione e di coraggio. Atleticamente era completo, dotato nella corsa (a 17 anni fu campione cittadino nei 100 metri piani), impareggiabile in elevazione (e difatti eccelleva anche nella disciplina del salto in alto) e per natura portato all'acrobazia; la sua specialità era il «rinvio a forbiciata», come descrive Vittorio Pozzo, «per cui rimaneva un istante in aria come se stesse per spiccare il volo». Non era altissimo, 1 metro e 71, ma riusciva, con tempismo e istinto, ad anticipare anche chi lo superava in altezza. La forza dei suoi rinvii, la sicurezza con cui controllava ogni situazione e la capacità di leggere le traiettorie del pallone e i movimenti degli avversari destavano una sempre rinnovata ammirazione. Caligaris compendiava in sé tutte le doti del perfetto difensore.

Un giovanissimo Caligaris
allo Sparta
Umberto Francesco Luigi Caligaris nacque a Casale Monferrato il 26 luglio 1901. Figlio di un padre cultore dello sport ed esperto nel gioco del pallone elastico, fin da piccolo visse con passione il movimento calcistico della sua città, che negli anni della sua infanzia era al massimo del proprio splendore: il Casale infatti combatteva sui campi della Prima Categoria italiana, e nel 1913-14 vinse uno scudetto che suscitò meraviglia e incontenibile gioia nella comunità piemontese, che viveva un periodo florido anche dal punto di vista dello sviluppo industriale ed economico. Proprio nel 1913, ancora giovanissimo studente, Berto (così era affettuosamente soprannominato) mosse i primi passi nello sport che sarebbe poi divenuto fondamento della sua vita. Dalle partite all'oratorio Sacro Cuore nel rione Valentino, dove inizialmente fu schierato portiere, poi centravanti e infine giunse al suo predestinato ruolo di terzino, fece parte dei fondatori dello Sparta, società di «liberi» dalla maglia bianca con striscia verde. Le attività di questa squadra furono interrotte dal primo conflitto mondiale; già nel 1917, però, si ricompose lo Sparta – con Caligaris ancora tra i fondatori insieme a diversi suoi futuri compagni nel Casale – che adottò la maglia bianca con stella nera, versione "in negativo" della divisa nerostellata che aveva infiammato i cuori dei casalesi. Fino al 1919, lo Sparta proseguì la sua attività a livello locale: poi si ricostituì il Foot Ball Club Casale, e con esso tornò la maglia nera che tanto mancava agli appassionati.

Caligaris fece il suo debutto assoluto in prima squadra il 12 ottobre 1919 contro la Valenzana. Questa la formazione casalese: Gaviorno; Scrivano, Caligaris; Bargero II, Bergante, Barbesino, Migliavacca, Siviardo, Corrado, Riccio, Bertinotti. La partita fu vinta per 3-1 e Caligaris giocò tutte le 20 partite della stagione: cambiava il compagno di reparto (talvolta Scrivano, talaltra Grosso II) ma lui rimaneva un punto fermo. Il giovane difensore, giocando terzino sinistro, iniziava a scrivere la propria leggenda, accompagnato in campo dal fazzoletto che aveva la funzione di mantenere in ordine i lisci capelli, portati piuttosto lunghi. Nel 1919, a dimostrazione ulteriore della sua serietà, conseguì il diploma di ragioneria. In campionato il Casale superò il primo turno, ma non riuscì a vincere il girone semifinale, terminando al quarto posto nel gruppo B. Nel 1920-21 ancora Caligaris sempre in campo, con diversi partner difensivi (Acuto, Bargero II, Sarasso). Una stagione di conferma del proprio valore, a riprova che quel ragazzino che tanto bene aveva giocato nella prima annata non era un fuoco di paglia. Il torneo 1920-21 fu importante anche per un episodio che fece già intuire il temperamento di Caligaris. Il 19 settembre 1920 si giocava Casale-Alessandria, incontro di Coppa Palli: Caligaris e Baloncieri si scontrarono duramente sulla linea di fondo campo, e tra i due nacque un alterco che degenerò in rissa. La partita venne sospesa e infine data vinta al Casale, dato il rifiuto dell'Alessandria di proseguire la partita. Nel 1921-22 il calcio italiano attraversava un periodo di scisma, con la creazione della C.C.I., la Confederazione Calcistica Italiana che riuniva le maggiori società dell'epoca in contrasto con la F.I.G.C. Il Casale partecipò per l'appunto al campionato organizzato dalla federazione "scissionista", ma non riuscì a brillare, concludendo al sesto posto nel girone B. Proseguiva però il momento di eccezionale forma per Caligaris, particolarmente positiva anche a livello realizzativo: il primo gol in carriera lo realizzò il 16 ottobre 1921 contro il Savona, su punizione tirata con potenza e decisione; dopo la doppietta segnata contro il Genoa il 2 aprile 1922 (il primo dei due gol su calcio di rigore), Caligaris seppe ripetersi altre 2 volte, contro Brescia (5 marzo 1922, rigore) e Internazionale (19 marzo, rigore). Il 15 gennaio 1922 ebbe l'onore di debuttare in Nazionale, a Milano contro l'Austria. Il terzino casalese affiancò niente meno che Renzo De Vecchi, il popolarissimo "Figlio di Dio" che era una vera e propria icona vivente del calcio italiano. Un'emozione che rimarrà nel cuore di Caligaris per tutta la vita.

Caligaris nei primi anni al Casale
A soli 21 anni Umberto Caligaris era già uno dei giocatori di maggior fama del Paese: era riuscito infatti, provenendo da una realtà relativamente piccola come Casale Monferrato, a ergersi tra i primi nel suo ruolo, portando nuovamente il Casale agli onori della cronaca per aver prodotto un così mirabile esempio di giocatore appassionato, ardito, capace di rappresentare a pieno lo spirito del calciatore che gioca non già per lucro, ma per limpido e incorrotto amore dello sport. Nel 1922-23 ancora una stagione da protagonista, con 22 presenze, inamovibile nella "terza linea" dei nerostellati. Nel 1923-24 le prime difficoltà: il Casale attraversava un periodo poco felice a livello economico, e Berto subì un infortunio al ginocchio che lo costrinse a saltare alcune partite. La stagione però ebbe una nota positiva: il gol segnato il 13 aprile 1924 contro l'Internazionale su calcio di punizione. A campionato finito, un altro evento di fondamentale importanza per la carriera di Caligaris: i Giochi olimpici. Incluso da Pozzo nella lista dei convocati, il terzino casalese giocò 2 partite, contro Spagna e Svizzera. Le Olimpiadi furono la prima competizione vera e propria disputata da Caligaris con la maglia azzurra, avendo fino ad allora vestito i colori della Nazionale solo in partite amichevoli. Un palcoscenico di assoluto prestigio, che confermò ulteriormente l'ascesa ai massimi livelli di Caliga (questo l'altro suo soprannome). Il 25 maggio 1924, oltre a segnare il debutto olimpico, fu una data storica per un'altra ragione: fu infatti la prima partita in cui scesero in campo, fianco a fianco, Virginio Rosetta e Umberto Caligaris. Due nomi destinati a rimanere legati per sempre.

Nel torneo 1924-25 il Casale tornò ad alti livelli, contendendo il primo posto del girone A della Lega Nord a Genoa e Modena: ancora una volta Caligaris sempre presente, stavolta affiancato dall'imponente Ticozzelli che lo sovrastava in altezza grazie al suo metro e 87. La coppia formata dai due terzini era eccezionale, una combinazione di potenza e ardore al servizio della propria squadra. I ben coordinati movimenti dei due contribuivano a dare sicurezza alle altre due linee in campo. Nel 1925-26 20 partite ad alti livelli per Caligaris, che rimaneva uno degli elementi di maggiore valore in un Casale segnato da un leggero calo di rendimento; stagione da ricordare anche per la presenza di Eraldo Monzeglio che formò un altro favoloso duo difensivo con Berto, essendo passato da centromediano a terzino. Nel 1926-27 stagione con un triplice impegno: campionato, Coppa C.O.N.I. e Coppa Italia. Il Casale seppe onorare le tre competizioni, figurando assai bene specialmente in Coppa C.O.N.I., in cui raggiunse la finale persa per un soffio con l'Alessandria. Per il campionato 1927-28 il Casale assunse la nuova denominazione di Casale XI Legione, imposta dal regime per rafforzare ancora di più l'immagine fascista della squadra nerostellata. Sorretto ancora una volta da un Caligaris solido e nel pieno delle forze, il Casale riuscì a qualificarsi per il girone finale grazie al terzo posto ottenuto nel gruppo A. Tuttavia, alla buona prestazione nella prima fase seguirono diversi risultati negativi, e i casalesi terminarono ultimi con soli 4 punti in 14 partite.

Il Trio Combi-Rosetta-Caligaris
Per Caligaris era arrivato il momento di cambiare. Da tempo ormai giungevano offerte da numerose squadre, desiderose di assicurarsi uno dei più forti terzini del panorama internazionale dell'epoca; tra queste il Torino che più volte aveva vanamente tentato l'assalto, sempre respinto dalla dirigenza del Casale. La fama di Caligaris era tale che persino il Liverpool si interessò al giocatore, ambendo a portarlo nella patria del football, dandogli la possibilità di confrontarsi con i maestri inglesi. Non furono però le sirene estere ad affascinare e conquistare Caligaris, bensì la Juventus. Nell'estate 1928 il terzino casalese si recò ad Amsterdam per partecipare alle Olimpiadi: durante tutto il torneo si comportò benissimo; con gli azzurri eliminati dalla corsa all'oro olimpico dall'Uruguay futuro vincitore, ebbe comunque modo di ricevere l'altissimo onore di una medaglia di bronzo, ottenuta grazie al clamoroso successo per 11-3 sull'Egitto nella gara conclusiva del torneo. Il 19 luglio 1928 venne concluso il passaggio dal Casale alla Juventus, dopo diversi giorni di trattative. La decisione fu accolta con rabbia dai tifosi nerostellati, che pare arrivarono a dare alle fiamme un fantoccio con le sembianze di Caliga, e gli serbarono un duraturo rancore che solo gli anni riuscirono ad attenuare. La Juventus si era così aggiudicata «il terzino più dinamico su cui conti il calcio italiano del momento attuale», come lo descrisse La Stampa. Sempre il quotidiano torinese si rivelò profetico: nella cronaca di un'amichevole settembrina con la Pro Patria scrisse «Non vi è dubbio che contro il granitico baluardo formato da lui [Caligaris], da Rosetta e da Combi, si andranno ad infrangere i più formidabili attacchi avversari». Una frase che preannunciava ciò che negli anni a seguire sarebbe diventato il terzetto difensivo più emblematico degli anni '30.

Combi, Rosetta, Caligaris. Iniziava ovviamente così la formazione dei bianco-neri il 30 settembre 1928, giorno dell'esordio di Berto con la Juventus in campionato. A Reggio Emilia è pareggio con la locale squadra granata, 2-2. La linea difensiva non ebbe però demeriti, e i due terzini Rosetta e Caligaris misero in mostra interventi precisi, cui del resto avevano abituato già in maglia azzurra. Il primo torneo disputato a Torino da Caligaris fu positivo: brillante la prestazione con il secondo posto nel girone B (e con essa ottenuta la partecipazione alla Serie A a girone unico prevista per l'anno seguente), e vittoria nello spareggio per la qualificazione alla Coppa dell'Europa Centrale, la competizione europea per club che vedeva affrontarsi le migliori compagini del continente. Il debutto a livello internazionale con la maglia juventina avvenne il 23 giugno 1929 contro lo Slavia Praga al campo di  Corso Marsiglia. Tenendo fede alla sua reputazione, per nulla intimorito dagli avversari Caligaris fu «impetuoso e audace», agendo da "terzino volante". Il 6 ottobre 1929 Caligaris entrò nella storia del campionato di Serie A insieme ai suoi compagni, partecipando alla prima giornata del neonato torneo a girone unico. Un'avvincente sfida contro il Napoli, terminata con la vittoria bianco-nera per 3-2, è la prima gara della Juventus nella moderna Serie A. Caligaris aveva un rapporto controverso con l'allenatore William Aitken, che sottoponeva l'intera rosa ad allenamenti molto impegnativi dal punto di vista fisico e aveva idee molto precise sullo schieramento tattico, essendo sostenitore del "sistema". Caliga era sempre pronto al massimo impegno fisico, ma aveva alcune riserve sui compiti che Aitken voleva assegnargli, specialmente nel gioco senza palla. Per lui infatti la conquista del pallone era l'essenza stessa del gioco, l'assoluta e irrinunciabile priorità, e rinunciarvi anche solo per breve tempo gli pareva un sacrificio troppo grande. Conclusa la stagione 1929-30 con un buon terzo posto, alla Juventus arrivò Carlo Carcano.

La stagione 1930-31 fu tra le più positive in assoluto per Caligaris. Confermato come inamovibile pedina dello schieramento juventino, giocò un campionato ad altissimi livelli, sempre presente (34 partite giocate in Serie A, 3 in Coppa dell'Europa Centrale), e soprattutto vinse il suo primo scudetto. Una gioia infinita per chi, come lui, giocava per la gloria sportiva. L'intesa con Combi e Rosetta era ormai cementata, la sua fama era all'apice, e giungevano riconoscimenti anche fuori dal campo sportivo: il 28 ottobre 1930, infatti, fu insignito del titolo di Cavaliere della Corona d'Italia. Inizialmente incredulo, Caligaris fu ben presto sopraffatto dalla felicità di aver ricevuto il meritato premio, un encomio dovuto che il mondo del calcio italiano tributò a uno dei suoi più fulgidi simboli. Il campionato 1931-32 fu più difficoltoso per Caligaris. Solo 12 partite, infatti, e una stagione gravata da un serio infortunio subìto il 18 ottobre 1931 a Roma contro i giallo-rossi: un duro scontro con De Micheli alla mezz'ora di gioco costrinse il difensore juventino a ritirarsi dal campo, impossibilitato a proseguire la contesa. Non rientrerà per quasi 6 mesi, tornando in campo il 17 aprile 1932 a Torino contro la Triestina. Pur con sole 12 presenze, Berto contribuì al secondo scudetto consecutivo della forte compagine torinese. Il successivo torneo 1932-33 lo vide tornare protagonista a tutti gli effetti, con 32 partite su 34, e un altro scudetto vinto da prim'attore. Dopo una lunga assenza dalla Nazionale durata quasi 2 anni (dal 20 maggio 1931 al 2 aprile 1933), Caligaris vestì nuovamente la maglia azzurra, prendendo così parte alla sua terza edizione della Coppa Internazionale, la competizione per squadre nazionali che vedeva duellare le migliori rappresentative europee per il primato continentale.

Caligaris in maglia azzurra
Il campionato 1933-34 era la porta al Campionato del Mondo, atteso con speranza da Caligaris che aveva un incondizionato amore per i colori patrî, e desiderava difenderli nella più importante manifestazione calcistica mondiale, che per di più doveva tenersi proprio in Italia. Il terzino casalese mise tutto il suo impegno, pur iniziando a sentire il peso degli anni che erano quasi 33 (a quell'epoca, un'età ragguardevole per un calciatore). 33 furono anche le presenze in quell'edizione della Serie A, conclusa con un'altra vittoria, la quarta consecutiva di un'epoca d'oro per la Juventus. Caligaris fu convocato per la Coppa del Mondo, ma non giocò alcun incontro. Il commissario tecnico Pozzo gli preferì Allemandi, che affiancò a volte Rosetta e a volte Monzeglio nella linea difensiva dell'Italia. Alla fine fu apoteosi, e vittoria italiana: sicuramente Berto avrebbe preferito viverla in campo, combattendo ogni battaglia centimetro su centimetro; ma ciò non sminuisce certo l'eccezionale carriera di Caligaris in Nazionale, di cui fu 16 volte capitano incarnando l'indomito spirito dei calciatori italiani. Altro rimpianto del casalese il non aver raggiunto la cifra tonda di 60 partite in azzurro: ma Pozzo volle mantenere sempre il suo principio di non cedere mai a favoritismi o simpatie nella selezione dei giocatori. L'ultima partita di Caligaris in Nazionale fu quella con l'Austria giocata l'11 febbraio 1934: la sua carriera internazionale quindi finì come era cominciata, con una gara contro gli austriaci.

Nel 1934-35 l'avanzata età di Caliga lo pose ai margini della rosa juventina, con alle sue spalle Alfredo Foni destinato a prenderne il posto. Furono le ultime 11 partite in Serie A con la livrea bianco-nera, e il quinto scudetto fu il coronamento ideale di una carriera ai massimi livelli, caratterizzata da entusiasmanti vittorie. 178 presenze in A e 5 scudetti vinti ne fanno un indiscusso simbolo della storia juventina, tra i più rappresentativi del cosiddetto "Quinquennio d'oro". Caligaris sentiva nascere in sé il desiderio di vestire i panni dell'allenatore, ma non intendeva ancora rinunciare al campo. Gli offrì questa possibilità il Brescia, che lo ingaggiò nel doppio incarico di giocatore e allenatore. La naturale passione e lo spirito indomito del casalese inizialmente facevano ben sperare i sostenitori della compagine lombarda; e tuttavia, la prima annata (1935-36) fu negativa. Nonostante il buon inizio con la vittoria per 1-0 sull'Ambrosiana, le "rondinelle" non riuscirono a superare le numerose difficoltà presentate da un campionato assai selezionato (solo 16 squadre) e con valori al di sopra delle possibilità bianco-azzurre. Caligaris giocò quasi sempre titolare, affiancandosi Tamietti come terzino destro; e tuttavia, tutto l'impegno di giocatori e tecnico non fu sufficiente, e il Brescia chiuse all'ultimo posto in campionato, retrocedendo in Serie B.

Alle difficoltà sui campi di gioco seguì un periodo assai negativo per la sua vita, costantemente messa in pericolo da svariate malattie che non solo gli impedirono di allenare e giocare a calcio, ma lo costrinsero anche a più di un intervento chirurgico, uno dei quali lo lasciò con due costole in meno, asportategli per necessità mediche. Iniziata la stagione 1936-37 ancora a Brescia, giocò 13 partite prima di ammalarsi di setticemia, vedendosi costretto a farsi ricoverare in ospedale preda di forti attacchi febbrili nel marzo 1937. L'ultima gara l'aveva disputata il 14 febbraio a Livorno. Nel giugno 1937, reduce dalla malattia che, come detto, aveva richiesto tutte le sue forze per essere sconfitta, lasciò il Brescia, dovendosi ritirare per una lunga convalescenza necessaria a recuperare le forze. Trovandosi perciò impossibilitato a proseguire l'incarico di allenatore del Brescia, dovette prendersi una pausa – impresa sicuramente durissima per uno come lui, abituato all'incessante e fervente attività.

Una delle ultime immagini
di Caligaris
Riuscì a riprendersi e a tornare al lavoro, stavolta a Lucca sulla panchina della Libertas. Subentrò difatti a Erbstein alla 18ª giornata, riuscendo a salvare i rosso-neri dalla retrocessione in Serie B. L'anno seguente si trasferì a Modena, formazione neopromossa dalla B in cerca della salvezza. Caligaris riuscì nell'impresa, ottenendo il 13º posto in classifica nella stagione 1938-39. I discreti risultati sembravano preludere a una carriera in ascesa per Berto, che nel 1939 fu chiamato ad allenare la squadra che lo aveva visto trionfatore sui campi di gioco. Alla Juventus ritrovò, curiosamente, Carlo Buscaglia che nel 1927-28 era stato suo compagno al Casale, ed era stato anch'egli uno dei giocatori "emigrati" dal Monferrato verso altre squadre di maggiore levatura. Alla guida dei bianco-neri Caligaris seppe ben motivare i suoi giocatori, tutti di primissimo piano, e riuscì a ottenere un terzo posto che, considerata la relativa poca esperienza ad alti livelli come allenatore, era un ottimo risultato, tanto che la dirigenza decise di riconfermarlo anche per la stagione 1940-41.

Veniamo ora alla fine della storia terrena di Caligaris; ed è una fine che è perfettamente coerente con tutta la vita del calciatore e dell'uomo Umberto Caligaris: nel suo caso, le due figure coincidono perfettamente. Il 19 ottobre del 1940 venne organizzata una partita tra alcune vecchie glorie juventine e la squadra del Taurinia. La partita era puramente amichevole, una gara a scopo dimostrativo che intendeva riportare sul campo da gioco alcuni simboli della passata gloria bianco-nera. Dopo un lauto banchetto celebrativo, iniziò la contesa. Per l'ultima volta Combi, Rosetta, Caligaris. Dopo soli dieci minuti, Caligaris richiamò l'attenzione di Combi, dicendogli di sentirsi male. Uscito dal campo, si sentì mancare e dovette essere soccorso e trasportato d'urgenza all'ospedale militare, il più vicino. Inizialmente sveglio, Caligaris presto divenne incosciente e si ricorse, come ultimo tentativo di salvataggio, a un'iniezione d'adrenalina. Fu però vana: in presenza della moglie e della figlia, Caligaris morì per aneurisma alle 17:58 del 19 ottobre 1940. La salma fu portata nella casa di via Romolo Gessi, 6. I funerali, che videro vasta e accorata partecipazione, si svolsero tra Torino e Casale Monferrato il 21 ottobre. La perdita di Caligaris causò commozione e dolore in tutto il mondo del calcio, e la famiglia ricevette numerose manifestazioni di vicinanza e cordoglio da ogni parte. Ovunque fosse passato, Caligaris aveva lasciato di sé un ricordo di uomo integro, animato da una passione inestinguibile che aveva riempito ogni giorno della sua vita. La sua storia fornì da esempio per molti giovani che si avvicinavano al calcio; e ancor oggi raccontarla mette in contatto con la vera essenza dello sport, che non è mai solo movimento meccanico ma forza morale, spirito, cuore e ardimento.

Il 25 settembre 1971 Giacinto Facchetti raggiunse la 60ª presenza in maglia azzurra e superò Caligaris. Il destino volle che a farlo fosse un altro terzino sinistro indimenticabile, come a voler continuare una storia iniziata molti anni prima, e destinata a non finire mai.

Mi pare ideale, per concludere questa breve biografia di un campione assoluto come Caligaris, questa frase riportata da La Stampa nel 1930, in occasione della sua nomina a Cavaliere:

«Caligaris non ha bisogno di veder citate oggi le sue imprese più belle, poiché sempre unendo tecnica e cuore, combattività e ardore, brillò in campo come un dominatore, come un uomo dal quale i giovani potevano apprendere molto».

____________________________________________________________

Per la stesura della presente biografia sono stati consultati i seguenti testi:

Libri:
Autori vari, Enciclopedia dello sport – Calcio, 2002.
Marco Aimo, Firmamento nerostellato. I primi 90 anni del Casale Calcio, 1998.
Marco Aimo, Neri... neri... quel grido che mette i brividi dentro, 2000.
Gino Bacci, Storia del calcio italiano, 2006.
Vladimiro Caminiti, Juventus Juventus. Dizionario storico romantico dei bianconeri, 1977.
Giancarlo Ramezzana e Roberto Cassani, Un secolo nerostellato: 1909-2009, 2009.

Quotidiani e periodici:
Il Littoriale;
La Stampa.

15 dicembre 2016

La Divisione Nazionale serie B nel rinnovato quadro del campionato italiano



Articolo pubblicato su La Gazzetta dello Sport nell'ottobre 1929, pochi giorni prima dell'inizio del primo campionato di Serie B (1929-30).

Di: Erberto Levi*

____________________________________________________________

Si combatterà, negli alti ranghi del campionato, su di un solo fronte. Diciotto «vedette», diciotto «aggregati» raggruppati in due categorie, daranno quest’anno la scalata, per otto lunghi mesi, ad un unico posto, il primo, quello che deciderà definitivamente del titolo.
Siamo alla formula fondamentale che si attendeva da tempo: che, applicata in Inghilterra, culla dell’Association, consente un ritmo più spedito alla contesa, una selezione più limpida e più netta, una più chiara e precisa gradazione dei valori.
La necessità di questo cambiamento radicale era sentita: si sente e si spera ora di essere sulla strada migliore per mantenere fresco e vitale questo nostro sport che si è affermato conquistandosi un posto invidiabile nell’Europa e nel mondo e che chiede oggi appunto una possibilità di maggiore e più tranquillo respiro per non logorarsi e perdere estro e colore.
L’avveduto provvedimento delle Gerarchie porta dunque oggi il calcio italiano ad una svolta decisa che potrà sboccare nella direzione esatta verso il suo definitivo risanamento. Per questo anno siamo ancora nel fervore della sistemazione. Il numero ed i meriti delle compagini sulla breccia, a campionato 1928-29 ultimato, hanno portato come conseguenza la formazione attuale del girone unico comprendente ben diciotto titolari, numero che comporta necessariamente 34 domeniche effettive di campionato.
Ma, a prescindere da ogni questione circa la lunghezza della nostra imminente competizione nazionale (sul tema si è già molto a lungo parlato e non ci vogliamo quindi ripetere qui) un altro aspetto interessantissimo presenta, a nostro avviso, il torneo che prenderà il «via» domenica prossima.
Diciotto squadre: numero grande, senza dubbio, volendo tener in considerazione, per un buon svolgimento della gara, il fattore «equilibro di forze in campo». La divisione nazionale A sarà forse infatti ancora costretta, per quest’anno, a regalare alle folle avide di bella battaglia, parecchie e parecchie partite in cui un colosso avrà carta facile contro una compagine di media levatura. È inevitabile, dato che non possediamo in Italia un numero così considerevole di squadroni attrezzati a prova di ferro e capaci di lottare fra loro sulla stessa linea e con le stesse possibilità.

***

Per trovare una bilancia più stabile, dobbiamo dunque scendere un pochino più in giù, in casa degli aspiranti di Serie B. Se nei ranghi della nazionale A ci sono i giganti già preparati fin dalla vigilia a fare, presto o tardi, il boccone più grosso, nel gradino sottostante mancano assolutamente i dati matematici ed indistruttibili per divider la schiera in vari scaglioni di diverso valore tecnico e diverso rendimento.
Entriamo, senza eccezioni, nella provincia, tra le società che tentano la formazione della squadra cogli elementi locali, allevando i giovani e tendendo per quanto è possibile ad alimentare le file di fresche e volonterose energie piuttosto che ricorrere al troppo dispendioso metodo delle importazioni.
Con la forza assorbente sempre maggiore dei grandi clubs e la conseguente emigrazione continua dei giocatori, dal seno delle società meno rinomate, convergenti verso la grande città, il fenomeno accennato va accentuandosi ed acquistando un suo tono sempre più caratteristico, nei centri minori, tra le squadre assegnate alle categorie sottoposte, e questo a cominciare dalla Nazionale B, e giù giù, in proporzioni naturalmente sempre maggiori, fino alle varie divisioni inferiori.
Ne viene una conseguenza naturale: dagli inevitabili squilibri della massima categoria (conseguenza appunto della diversa possibilità importatrice delle squadre concorrenti) si passa, scendendo di un piano, ad un gruppo di squadre che, per adottare tutte, o quasi, un sistema uguale, nella composizione delle proprie rappresentative, permettono di avere uno stile ed un metodo simile di gioco e di offrire quindi una serie di gare coi caratteri del massimo ardore, della massima combattività, di un sensibilissimo equilibrio.

***

La Divisione Nazionale B parte quest’anno con queste premesse.
Gli attori? Il nucleo di retroguardia dei due gironi massimi dell’anno passato, più le promosse della prima divisione.
Basta ripensare al comportamento di queste compagini durante la passata stagione, per rendersi conto, con facile intuizione, dell’interesse tutto particolare che vorrà senza dubbio fornire questo prossimo torneo.
I nomi non dovrebbero aver bisogno di illustrazioni: Novara, Casale, Legnano, attori di cento battaglie ardentissime nei maggiori campionati di pochi anni addietro, si ritroveranno sul terreno a ranghi completamente rinnovati, con un nucleo di ragazzi di null’altro desiderosi che di saper emulare i famosi predecessori e con qualche uomo ancora della vecchia guardia, alfiere generoso e tenace, capace di coordinare le fila sguscianti e di guidare il manipolo. C’è da giurare che il torneo avrà in queste tre squadre, vivacissimi, gagliardi animatori. Se le compagini contano ora soltanto delle reclute generose, il nome è tuttora fulgido e risonante: ed il nome è la bandiera da difendere, è la guida, è la forza.
Sulla stessa linea devono esser messi il Verona e la Reggiana, sulla stessa linea la Dominante, giovane nel suo nuovo stemma, ma derivazione di due squadre anziane e provate che le hanno trasfusa la loro volontà ed il loro orgoglio. Rinnovata e forte la squadre ligure ha tutti i numeri per figurare da gran signora nell’imminente, nuova contesa. D’altra parte l’undici si presenta quest’anno con tutti i suoi elementi dell’anno passato ed, in più, con qualche prezioso acquisto. Un tutto organico e promettentissimo. C’è chi parla dei neri come di probabili vessilliferi del gruppo!
Fiumana, Venezia, Biellese, Prato, Bari, Pistoiese formano la schiera più giovane, degli arrivati da poco. Ma quanta volontà, quanto fresco entusiasmo!
Salite su ai fastigi maggiori, di fronte ad avversari anziani, provati ai più difficili incontri, queste giovani elette non hanno piegato la testa. Le abbiamo vedute, l’anno passato, inferiori in linea tecnica, ma inesauribili di coraggio, di volontà, di abnegazione. La Fiumana che prima degli infortuni del girone di ritorno si permetteva il lusso di fermare una Pro Vercelli, una Cremonese, un Genova; il Prato, capace di battere nettamente un’Alessandria e di pareggiare con la Roma; il Venezia, che riusciva addirittura a pareggiare con i bianco-neri iuventini; la Biellese, giunta sulla soglia dell’ottavo posto, dopo un comportamento coraggiosissimo e veramente significativo, e via tutte le altre squadre che tutte sè stesse hanno dato per compensare con la generosità nella lotta la inevitabile inferiorità di stile.
Oggi, tuttora con un pugno di giovanissimi desiderosi di ben figurare, questi undici vorranno combattere il nuovo campionato, in una compagine più adeguata alle loro forze, ed in grado quindi di poter meglio figurare. Chi può dire quante sorprese dovranno scaturire, durante il corso del campionato, per opera di queste squadre gagliarde e sbarazzine?
Ed ecco gli ultimi venuti: Spezia, Parma, Monfalcone, Lecce: i vincitori dei rispettivi gironi di prima divisione, nel torneo 28-29. Gironi infernali, in cui non c’era squadra che cedesse terreno, non squadra rassegnata mai alla sconfitta; in cui la rivalità dava nuova esca all’ardore ed al brio indiavolato; dove ogni settimana si registravano regolarmente risultati e risultati da far strabiliare. L’aver saputo arrivare, attraverso a tutte le peripezie ed a tutti gli inciampi al primato, costituisce per le neo-elette titolo che vale più di ogni panegirico. Le gloriose promosse, entrano nella nuova categoria con i segni di un’esperienza maturata attraverso a cento partite infuocate nei ranghi inferiori. Cuore e fiato non devono mancare di certo: s’offre loro la occasione d’affinare il sistema e di temprare le forze nella nuova difficile prova che le attende.

***

Queste le «diciotto» della serie B che inizieranno domenica il cammino: diciotto squadre che chiedono la vittoria alla scapigliata energia, all’azione sbrigliata e veloce, alla resistenza ferrea che i giovani promettono. Ponderare le possibilità, soppesare i presumibili valori, dire una parola che potesse avere una parvenza di previsione, anche la più generica, sarebbe volersi buttare a capo fitto nel buio.
Le «diciotto» aspiranti partono su uno stesso piano, su una stessa linea: non ci sono favoriti. Questo, a nostro avviso, costituisce l’interesse precipuo del torneo.
Si può esser certi che tutti hanno sete ardente di arrivare, di ben figurare; ci sono dei ragazzi che vorranno buttar l’animo nella gara ardente per i colori del club. Nessuno si erge gigante, nessuno ha da farsi pigmeo.
Da pari a pari; alla battaglia non mancherà colore, non mancherà bellezza.

____________________________________________________________


* n. Savigliano (CN), 09.10.1908 - m. New York City, USA, 10.10.1971. Tra i migliori giornalisti sportivi italiani della sua epoca, scrisse per la Gazzetta dello Sport, La Domenica Sportiva, Calcio Illustrato, Il Littoriale e fu autore di una biografia su Virginio Rosetta (Viri, 1935). Nato a Savigliano, Levi si trasferì a Milano per compiere gli studi universitari, laureandosi in giurisprudenza nel 1930; in seguito si laureò anche in giornalismo presso l'Università di Perugia nel 1932. Divenuto giornalista sportivo, dovette lasciare l'Italia in seguito al varo delle leggi razziali fasciste ed emigrò negli Stati Uniti accompagnato dalla madre Stella Foa Levi (n. 1880). Secondo i registri della Ellis Island Foundation, il suo nome completo era Giacobbe Erberto Minetto Levi e giunse negli Stati Uniti il 5 giugno 1939 a bordo della nave American Farmer, essendo partito da Londra dove aveva brevemente risieduto una volta lasciata Milano. Giunto negli Stati Uniti, fece richiesta di cittadinanza e di cambiare il proprio nome in Erberto Levi Landi. Negli Stati Uniti 
divenne una nota "voce" radiofonica, lavorando per numerose emittenti quali WCNW, WBNX, WHOM e WOV, nonché per la NBC per cui lavorò dal 1943 al 1948. Fu anche impresario teatrale, appassionato promotore di cantanti e musicisti e importante esponente della comunità italiana nella città di New York. Nel 1946 divenne cittadino americano. Morì nelle prime ore del 10 ottobre 1971 all'ospedale di St. Clare's, a Manhattan, dopo una breve malattia. Qui un approfondimento biografico su Levi.