16 marzo 2013

Come essere politicamente corretti in 441 parole.

Altro articolo uscito nel 2011 su Spirito Libero.

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Uno spettro si aggira per l’Europa… no, non va bene. Era una notte buia e tempestosa… no, neanche questo funziona. Iniziamo in maniera più semplice: in questo articolo tratterò un tema che potrebbe essere argomento della mia tesi di laurea, sono ancora indeciso tra questo e “Aspetti culturali e problematiche del punto croce nella civiltà bizantina”. Ciò di cui voglio parlarvi è il cosiddetto “politicamente corretto”, conosciuto anche con il nome in lingua inglese, politically correct. Saprete tutti cos’è, ma per i fortunati che lo ignorassero, è un concetto che ha incominciato a prendere piede nel XX secolo e che ha raggiunto vette di assurdità parossistica a partire dagli anni ’80 circa. In questo mio pezzo cercherò di insegnarvene i rudimenti, così che possiate sfoggiare anche voi un forbito linguaggio “per ogni occasione”. Ma accidenti, siamo già alla 139a parola e ancora non ho detto niente! Cominciamo! Alla base del politicamente corretto (da qui in avanti, PC) vi è l’idea di un linguaggio (e di un comportamento) teso a non offendere nessun gruppo sociale e/o etnico, così che chi usi un tale linguaggio possa evitare gaffe e relazionarsi con tutti, cosciente di parlare “nel modo giusto” e di non urtare l’altrui sensibilità. E come si fa, direte voi, a raggiungere una tale forma del parlato (e dello scritto)? Semplice: utilizzando perifrasi, eufemismi e termini evasivi. Per esempio, di me si potrebbe dire che sono un “diversamente magro” o un “verticalmente svantaggiato”; una persona poco acuta potrebbe divenire un “individuo con differenti attitudini intellettive”; un grandissimo maleducato si trasformerebbe in una “persona poco incline all’empatia”. Si potrebbe andare avanti, ma mi fermo qui, per pietà. Per essere PC basta dire non ciò che si pensa, ma ciò che si sa che gli altri vogliono sentire; non ciò che si sente, ma ciò che il cosiddetto senso comune vorrebbe che sentissimo; non ciò che si crede, ma ciò che il mondo vorrebbe credere. Mentre l’idea di fondo è giusta e condivisibile (evitare termini offensivi è logicamente auspicabile, e tutti dovremmo farlo, evitando di usarli con gratuità), gli eccessi sfiorano il paradosso, quando non sprofondano nel ridicolo. È stato inventato anche il termine “politicamente scorretto” per ideale giustapposizione, ma in realtà, molto spesso, ciò che così viene definito è solo una scialba brutta copia del PC all’acqua di rose, con due o tre parolacce messe lì, per far ridere chi crede che siano davvero “trasgressive” e “audaci ribaltamenti del PC”. La sincerità, nel semplice linguaggio (forma del pensiero) e nelle idee, con se stessi e con gli altri, risiede spesso nell’espressione di sé, e occupa (dovrebbe occupare, anzi…) il primo posto nelle priorità personali.